La Pagoda d’Argento è un’imponente struttura ornata situata all’interno del Palazzo Reale di Phnom Penh, nota anche come Wat Preah Keo o “Tempio del Buddha di Smeraldo”. Originariamente edificata in legno nel 1892 sotto re Norodom, fù ricostruita nel suo stato attuale nel 1962. Si trova all’interno di un grande complesso chiuso, circondata da una galleria dipinta su tutti e quattro i lati con un baldacchino dominante in cima e un tetto spiovente, formando un chiostro.

I dipinti murali delle gallerie della Pagoda d’Argento risalgono al 1902-1903. Sono stati eseguiti dal pittore e architetto Oknha Tep Nimit Thak, assistito dal pittore Vichitre Chea e da una quarantina di studenti, rendendo così assai difficile la corretta attribuzione delle diverse parti di quest’opera.

Oknha Tep Nimit Mak era il pittore e capomastro del Palazzo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX. A questo maestro e alla sua bottega si devono i dipinti dei grandi monasteri di questo periodo: il santuario e il chiostro di Wat Prah Keo Morokot, Wat Phnom Delmayed, Wat Phnom Del nella provincia di Kompong Cham e Vat Sisowath Ratanaram nel sud della provincia di Kandal.

Il cortile interno, circondato da gallerie, ha la forma di un rettangolo di 150 metri per 170 metri. I dipinti murali coprono l’intera superficie dei muri, alti 3,5 metri di altezza e lunghi 604 metri, i più grandi del Sud-Est asiatico. Partendo dal muro orientale, vicino all’ingresso, e procedendo in senso orario (pradaksimâ), 192 scene rappresentano il Reamker, la versione khmer dell’epopea classica indiana Rāmāyaṇa, raccontando della lotta di Preah Ram (Rama) per salvare la moglie Neang Seda, rapita da Krong Rab (Ravana).

In questo recinto di arte tradizionale, assistiamo allo svolgersi dell’intera storia di Rama: dal momento in cui Preah Ram, accompagnato da Preah Laks, si reca a perfezionare la sua conoscenza con l’asceta Visvamitr, fino alla riconciliazione con Neang Seda. Sono rappresentati quasi tutti gli episodi più importanti:

  • La prova dell’arco a casa di re Janak
  • Preah Ram e Neang Seda ad Ayodhya – Partenza da Ayodhya – Esilio – Incontri con Kukhan e Munis.
  • Mutilazione di Neang Surpanakhar, sorella di Rab – Battaglia con Krong Khar – la gazzella d’oro – il rapimento di Seda
  • Battaglie con gli alleati di Rab – Battaglia di Kumbhakar – Battaglia di Indrajit – Battaglia di Rab
  • Vittoria di Preah Ram – Consacrazione di Bibhek – Rituale del fuoco di Seda
  • Ritorno ad Ayodhya – Incoronazione di Preah Ram
  • Portamento di Rab – Condanna di Seda – Suo esilio
  • Ramlak e Jupalak – Il processo del cavallo
  • Preah Ram, Neang Seda e i due bambini – Il loro incontro
  • Preah Ram e il calvario con l’urna funeraria – Seta tra i Naga
  • Le guerre dei figli e dei nipoti di Rab
  • La riconciliazione degli eroi.

Nessuna cornice, nessuna divisione, nemmeno una striscia, separa tra di loro le scene. Le transizioni tra due episodi sono realizzate in modo elegante, più elaborato, segnalato da un boschetto, da un gruppo di rocce o, semplicemente, dall’atteggiamento dei personaggi che dirigono la loro attenzione verso elementi specifici.

Ad eccezione di alcuni flashback, la storia è disposta in ordine cronologico, con succinte iscrizioni in khmer che descrivono l’azione.

Questi dipinti, così preziosi e raffinati, testimoniano il perdurante senso artistico del popolo khmer. Presentano un’iconografia particolarmente ricca, illustrando una vita khmer molto vivace con celebrazioni religiose e reali, nonché scene di vita popolare, in un’atmosfera onirica di poesia.

Per la prima volta nella loro storia, i dipinti murali della Pagoda d’Argento sono stati studiati in modo approfondito attraverso diverse analisi non invasive, tra cui le immagini di riflettografia infrarossa (IR) acquisite tramite la nostra telecamera Osiris, che hanno permesso di studiare la genesi dell’opera così come gli strati sottostanti.

Come regola generale e all’epoca (inizio del XX secolo), gli artisti cambogiani si esprimevano attraverso un disegno essenzialmente lineare, con contorni chiari e definiti, per rappresentare e significare. Sui muri di cinta della Pagoda d’Argento, come accadeva in Cambogia in quel periodo, la tecnica esclude qualsiasi rappresentazione prospettica e qualsiasi uso del trompe-l’oeil.

Come già detto, Oknha Tep Nimit Mak è uno degli artisti che ha lavorato alla Pagoda d’argento. Si sa anche che ha realizzato disegni di statue, motivi decorativi, personaggi mitologici, costumi… . Nel 1923, George Groslier raccolse settantasei disegni di Oknha Tep Nimit Mak; sebbene la posizione delle figure e alcuni dettagli differiscano, le somiglianze tra le due rappresentazioni sono evidenti e sembrano derivare dalla stessa idea.

Si può quindi ipotizzare che gli artisti abbiano utilizzato un modello o un cartone di qualche tipo e abbiano fatto dei disegni preparatori prima dell’esecuzione finale: le linee sono forti e precise e il disegno non è molto esitante. La riflettografia ha rivelato le modifiche apportate dall’artista alla composizione durante il processo pittorico.

La parete orientale è sicuramente la parte più ridipinta, subisce infatti il maggior numero di modifiche e cambiamenti: l’architettura, le decorazioni e i personaggi sono stati semplificati; le linee sono meno delicate, alcuni personaggi sono stati riposizionati o semplicemente creati ex novo. Questo viene a indicare che un nuovo gruppo di artisti ha lavorato su questa parte della parete dopo eventuali danni che quest’ultima potrebbe aver subito o comunque dopo il completamento del progetto.

Nell’insieme della composizione osserviamo:

  • Numerosi cambiamenti compositivi nell’architettura;
  • Rimozione di alcuni personaggi: alcuni personaggi o gruppi di personaggi scompaiono nella fase pittorica, soprattutto nella parte ridipinta dove le modifiche sono più evidenti;

  • Lievi spostamenti, soprattutto di personaggi e animali: aggiustamento delle posizioni delle figure – posizione dei piedi, posizione delle braccia, dettagli architettonici, ecc;

  • Squadratura: per posizionare gruppi di personaggi (spesso duo);

  • Tracciato di linee per iscrizioni.

La riflettografia ci permette anche di determinare il disegno mancante nelle aree molto danneggiate del murale. Infatti, alcune parti sono severamente alterate dal tempo, dall’ambiente, dai cambiamenti meteorologici o dai danni intenzionali dei visitatori, e non permettono quindi una lettura della composizione. L’infrarosso permette in questo caso di vedere e quindi di comprendere meglio le scene rappresentate.

Il secondo gruppo di artisti, quello che fa seguito al completamento del progetto originale, ha utilizzato una tecnica mista: la maggior parte delle linee sono realizzate con materiale asciutto, sono forti e precise; ma alcuni elementi, come la vegetazione, le pietre o i fiumi/mare sembrano essere stati realizzati con un materiale più fluido.

L’analisi in falso colore, tradizionalmente eseguita tramite pellicole a colori con sensibilità estesa nella zona del vicino infrarosso, è oggi più comodamente eseguibile con tecniche digitali utilizzando una moderna fotocamera. Il vantaggio risiede nella velocità di acquisizione dell’analisi infrarossa in falsi colori e, inoltre, la sensibilità nel vicino infrarosso dei rivelatori di silice si estende a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla pellicola a colori.

Un esempio si trova sulla parete ovest nella scena della battaglia tra Rama e Krong Rab (scena 118) in cui le immagini in falso colore rivelano un’area interessata da precedenti interventi di restauro, in particolare si può identificare la presenza di malachite sovrapposta allo strato originale di ultramarino che rappresentava il cielo.

Quello che nella fotografia a luce diretta ci appare come uno strato compatto di blu brillante, in falso colore si differenzia in due strati sovrapposti che possono essere perfettamente perfettamente distinguibili l’uno dall’altro grazie alle risposte caratteristiche dei due pigmenti diversi.

Altrettanto utile può essere l’identificazione di pigmenti che si sono deteriorati nel tempo. Nella parete nord, nella scena in cui Asakan chiama a raccolta le sue truppe contro Rama (scena 132), il pigmento si è deteriorato: l’area all’interno del tempio è resa in rosso con il falso colore, mentre appare marrone scuro in luce diretta.

È caratteristico dei pigmenti blu avere una risposta rossa in falso colore, e lo smalto è un pigmento incline a tale degradazione. È scientificamente riconosciuta la sua tendenza a degradare scurendosi verso toni grigio-marroni.

I pigmenti ricorrenti in tutte e quattro le pareti, identificati in falso colore e successivamente confermati da campioni sono: oltremare, ocra rossa, orpimento e malachite.

Lo studio di questa natura morta aveva per scopo di identificare i materiali presenti e il loro utilizzo al fine di contestualizzarli e confrontarli con la tecnica di Cézanne.

Inizialmente, il pigmento bianco è stato analizzato per escludere la presenza di bianco di titanio, che sarebbe stato in contrasto con l’epoca presumibile dell’opera. Successivamente, sono state effettuate immagini scientifiche ad alta definizione sul fronte e sul retro del dipinto: luce diretta, radente, ultravioletta, riflettografia infrarossa, microscopio Dinolite e radiografia.

Questa natura morta mostra un tavolo su cui sono posizionate mele, un coltello, una pagnotta, una caraffa, una bottiglia di vino e un vaso con dei fiori. Sullo sfondo si intravedono due sedie di legno.

Il fronte visibile è dipinto direttamente sulla tela senza preparazione, cosa non comune nella pratica di Cézanne. Infatti, le opere autografe studiate in parallelo sono tutte preparate.

È stata rinvenuta un’etichetta bagaglio della Gare d’Orsay incollata sul lato interno del traverso del telaio. Essendo la stazione in attività dal 1900 al 1939, è probabile che il telaio sia stato realizzato durante questo periodo o prima di queste date.

La riflettografia infrarossa fornisce poche informazioni sulla tecnica di esecuzione. Il disegno non è chiaramente identificabile. Se presente, è poco distinguibile in riflettografia, sia a causa del materiale utilizzato (trasparenza nell’infrarosso) sia a causa dello spessore degli strati. Tuttavia, si osservano alcuni elementi di disposizione, come ad esempio il coltello in primo piano, il pane e il leggero pentimento del tavolo nell’angolo inferiore destro.

La pittura è stata realizzata in due fasi distinte, con aggiustamenti successivi alla prima fase. Sebbene queste due fasi siano identificabili con la luce diretta, la cronologia esatta può essere confermata dall’immagine ultravioletta che ha evidenziato la differenza di fluorescenza tra gli strati colorati.

La fluorescenza verdognola permette di identificare una vernice a base di resina naturale, che ricopre la prima composizione. Le modifiche, invece, non presentano o presentano una scarsa fluorescenza e appaiono violacee. Riguardano principalmente sfumature di tonalità che non apportano cambiamenti alla composizione, ad eccezione del tavolo, le cui forma e posizione sono state modificate.

La pittura è applicata principalmente attraverso pesanti tocchi di colore depositati con pennelli di diverse dimensioni, o con il coltello (come sulla tovaglia e sullo sfondo). La materia è poco diluita e spessa: le pennellate si sovrappongono in alcuni punti.

Il colore è applicato in modo grezzo, prima di essere mescolato direttamente sulla tela o sul pennello: ciò conferisce un effetto particolare a certi elementi, come le mele, che sono rappresentate con una moltitudine di sfumature colorate.

Questa tecnica non è consueta nella pittura di Cézanne. Nel suo caso, la materia è di solito meno spessa, lavorata con pennellate adiacenti e regolari che costruiscono il volume attraverso il colore e la sintesi cromatica, talvolta giocando con riserve di tela.

Se alcune caratteristiche si ritrovano nel dipinto analizzato, la costruzione del modellato non è creata qui dalla giustapposizione di tonalità, ma da strati sovrapposti molto spessi che delineano il disegno. Altri elementi sono resi con una certa mancanza di finezza, come ad esempio la bottiglia o il vaso di fiori.

In Cézanne, si notano spesso errori prospettici intenzionali, poiché gli oggetti sono dipinti indipendentemente gli uni dagli altri, con le proprie regole prospettiche. Ne deriva una tensione che rende la composizione instabile, in cui gli oggetti posti in secondo piano sembrano talvolta inclinarsi in primo piano o fluttuare nello spazio. Nella natura morta studiata, la composizione è piuttosto statica, la prospettiva è rispettata e i piani sono chiaramente identificabili.

La radiografia ha rivelato una composizione sottostante difficilmente visibile in luce diretta e all’infrarosso: compare infatti il ritratto di un uomo a sinistra della composizione. Dipinto sul retro della tela, questo ritratto è stato ricoperto da uno strato colorato, cosi da nasconderlo.

Smontando il telaio, emergono altri elementi della composizione : si tratta di un uomo e una donna in primo piano all’interno di un’abitazione. Il ritratto dell’uomo non è stato identificato, poiché vi sono pochi elementi che lo permettono.

A differenza del fronte, la tela sul retro è stata preparata; la materia è applicata abbastanza spessa con ampie pennellate che vanno a modellare lo sfondo e i vestiti. L’abito della donna corrisponde ai colori utilizzati per la tovaglia sul fronte visibile. Sembra che entrambi i lati del quadro siano stati dipinti dallo stessso artista.

Sebbene non sia possibile affermare con certezza basandosi sulle informazioni materiali poiché nessun elemento è discriminante, è improbabile che l’opera sia stata realizzata dalla mano di P. Cézanne. Infatti, nonostante l’uso accertato del bianco di piombo e l’etichetta della Gare d’Orsay che potrebbero corrispondere all’epoca dell’artista, gli elementi tecnici coincidono poco con la tecnica del maestro.

Anonimo, Natura morta con pane, mele e fiori, XIX secolo, olio su tela, collezione privata.

Nata a Roma e formatasi nello studio del padre Orazio Gentileschi, Artemisia è stata fortemente influenzata da Caravaggio e dal movimento barocco. È nota per le sue opere realistiche ed espressive, così come la sua preferenza per le rappresentazioni femminili e religiose come Maria Maddalena, Giuditta, Ester, ecc.

In questo dipinto, l’artista rappresenta un episodio del Vangelo secondo Giovanni: a mezzogiorno, Gesù, assetato e stanco dopo il suo viaggio attraverso la Samaria, trova riposo nei pressi del pozzo di Giacobbe, a poca distanza dalla città di Sychar. Egli si impegna in una conversazione con una donna samaritana venuta a prendere acqua dal pozzo, offrendole “acqua viva” che ha il potere di dissetare chiunque la beva.

Cristo e la Samaritana sono rappresentati seduti al pozzo in pieno colloquio, la donna porta un’attenzione particolare alle parole pronunciate da Gesù. Alberi e architetture incorniciano la scena, mentre un cielo carico di pesanti nubi ingloba una città in lontananza, da dove un gruppo di uomini – probabilmente i discepoli – fanno la loro uscita. Si tratta di una delle poche opere di Artemisia Gentileschi con un paesaggio completo.

Sono presenti gli elementi solitamente rappresentati in questa scena: il pozzo, la brocca, la corda. I colori vivaci degli abiti dei personaggi e il paesaggio dettagliato sono stati associati alle opere che l’artista ha realizzato durante la sua permanenza a Napoli. Inoltre, in una lettera scritta da Napoli il 24 novembre 1637 e indirizzata al suo mecenate, il segretario pontificio Cassiano dal Pozzo, Artemisia descrive un suo dipinto che raffigura “la Donna di Samaria con Cristo e i dodici apostoli in un paesaggio lontano.

Una campagna di indagini scientifiche non invasive, condotta da RES, ha permesso di analizzare più approfonditamente la tecnica esecutiva di quest’opera.

Nel caso di questo dipinto, le immagini di riflettografia infrarossa che abbiamo ottenuto non hanno rivelato la presenza di un disegno preparatorio di natura carboniosa realizzato prima della fase pittorica. Tuttavia, non possiamo escludere definitivamente la presenza di un disegno; potrebbe infatti essere realizzato con gesso, sanguigna o tecniche dette “trasparenti” all’infrarosso.

D’altra parte, l’immagine della riflettografia infrarossa ha comunque permesso di individuare alcune modifiche e aggiustamenti alla composizione, apportati dall’artista durante l’esecuzione dell’opera.

La lettura dell’immagine suppone che:

  • l’artista ha leggermente riposizionato la mano sinistra di Cristo e il braccio sinistro della Samaritana;

  • i drappeggi del mantello di Cristo hanno subito alcuni cambiamenti;
  • Nella chioma dell’albero in alto a sinistra, si può notare un anello appeso. In luce diretta, l’anello è presente ma difficilmente distinguibile;

  • infine, il volto della Samaritana subisce diversi cambiamenti: inizialmente il suo viso sembrava più di profilo e più alto; i suoi occhi avevano una posizione diversa, suggerendo una testa meno angolata. Si distingue un pentimento nella fronte: i capelli le cadevano maggiormente davanti al viso.

Alcune parti del dipinto ci appaiono più trasparenti; ciò è dovuto a un’alterazione legata all’invecchiamento della pittura a olio. Questa trasparenza permette di osservare, in alcuni casi, l’ordine cronologico in cui l’artista ha eseguito alcuni elementi del dipinto.

I contorni architettonici, soprattutto del pozzo, sono visibili in trasparenza come lo si vede nella manica destra di Cristo: con ogni probabilità il manto di Cristo è stato dipinto dopo la collocazione del pozzo.

Questa alterazione è presente anche sul lato sinistro del dipinto, all’altezza del basso muro di pietra e mattoni: un albero è stato collocato dall’artista dopo aver disegnato e dipinto il muro. I mattoni sono visibili in maggiore trasparenza nella fotografia a luce diretta e nella RIR.

L’analisi della riflettografia infrarossa ha portato anche a un’altra ipotesi: sul pozzo, tra Cristo e la Samaritana, nella manica destra di Cristo, così come nella chioma dell’albero sembrano esserci degli strappi. La prima potrebbe essere una vecchia cucitura, probabilmente rielaborata dall’artista stessa.

Le lacune nello strato pittorico sono visibili sulla riflettografia, con un filo di cucitura che appare bianco. Le lacune sarebbero state ridipinte (fessurazioni visibili nella fotografia a luce radente) e ampiamente riverniciate (visibili nella fotografia a luce ultravioletta).

Sull’immagine ultravioletta, è visibile una campagna di ritocchi abbastanza recente (tracce blu più scure), lungo i bordi del dipinto, sul pozzo, sul muretto a sinistra e sulle figure.

L’esame dell’immagine in falso colore suggerisce l’uso di alcuni pigmenti: il vermiglio per il mantello di Cristo e per il nastro dei capelli della Samaritana; il panneggio blu di Gesù sembra corrispondere all’azzurrite, mentre per il vestito della Samaritana è stato probabilmente usato un giallo di Napoli o orpimento.

Artemisia Gentileschi, Cristo e la Samaritana al pozzo, 1637, olio su tela, Palazzo Blu – Pisa.

Figlia di un’epoca illuminata dal Rinascimento e segnata da contrasti politici e religiosi, Artemisia Gentileschi respira fin dall’infanzia un’atmosfera creativa, sottoponendosi, attraverso il padre Orazio, all’affascinante disciplina della pittura, arrivando a concepire una propria tecnica altrettanto sublime.

Avendo a disposizione una vasta quantità di materiale su cui cimentarsi e perfezionare il suo talento naturale, Artemisia si lascia plasmare dall’opera di Caravaggio; un’influenza che il padre aveva già assimilato, avendo egli stesso instaurato rapporti di conoscenza con il maestro Michelangelo Merisi, del quale, si dice, acquistava spesso le basi per le proprie composizioni.

In questo modo, la figlia sviluppò uno stile peculiare tra astrazione sognante e realismo pragmatico; mai privo di un contesto storico-artistico di base, data la predilezione di Orazio per l’attenzione ai movimenti artistici contemporanei. Opere sempre dense di narrazione, i dipinti di Artemisia Gentileschi raffigurano episodi della mitologia greca, i racconti biblici di Davide e Betsabea, Lot, Lucrezia, nonché il tema ripetuto di Giuditta.

Maria Maddalena era un soggetto molto amato dagli artisti e dal pubblico, perché rappresenta il modello ideale della ricerca della virtù e della rinuncia ai piaceri del mondo. La protagonista è raffigurata a figura intera, avvolta in un abito giallo oro, che le copre generosamente le ginocchia, esaltato dai colori contrastanti della tunica e dal piede ruvido con le unghie sporche che fuoriesce dal vestito, rendendola il punto focale dello sguardo dello spettatore. Seduta in un momento di meditazione e preghiera, con le guance arrossate, Maddalena volge lo sguardo verso sinistra, nel momento della sua transizione: in primo piano, un teschio poggia su un libro sopra una superficie rocciosa, simboleggiando l’abbandono della sua vita di peccato.

Si notano alcune sorprendenti somiglianze con la Maddalena in estasi di Caravaggio, soprattutto nella posizione e nella modellazione delle mani, così come nell’apparizione della croce nella parte superiore sinistra della tela. La scena si svolge su una sorta di formazione rocciosa, mentre sullo sfondo dolci onde accarezzano il mare.

Lo strato pittorico è eseguito su una preparazione omogenea e relativamente spessa di colore rosso-bruno su tutta la superficie, visibile soprattutto nella parte superiore destra della tela a causa di una maggiore trasparenza dovuta all’invecchiamento della pellicola polimerica. Nella stessa area, una figura, che originariamente non faceva parte della composizione finale ma piuttosto di una costruzione precedente, appare come una fantomatica visione.

Questo fenomeno, unito alla riflettografia infrarossa ottenuta con la nostra Apollo, ha confermato la presenza di uno o più disegni realizzati prima di quello attualmente visibile: se capovolta, la tela rivela in effetti quello che potrebbe essere un San Girolamo, seduto, con in mano un qualche libro o oggetto, circondato da vegetazione. Nella parte inferiore, alcune annotazioni dell’artista e alcuni atti vandalici.

Artemisia ha evidentemente riutilizzato questa tela già iniziata, come facevano molti artisti dell’epoca, per risparmiare sui materiali.

Artemisia Gentileschi, Maria Maddalena penitente, olio su tela, collezione privata.

Questo dipinto di Raymond Quinsac Monvoisin, proveniente dalle collezioni del Musée des Beaux-Arts d’Orléans, rappresenta il re Enrico II d’Inghilterra in compagnia della sua amante preferita, Rosamund Clifford.

La riflettografia infrarossa, effettuata con la nostra fotocamera Apollo, rivela una disposizione molto dettagliata dell’intera composizione e una squadratura che suggerisce un attento studio preliminare.

Eseguito a puntasecca, il disegno prospettico dell’architettura e della struttura delle piastrelle è chiaramente visibile in primo piano. Alcune linee rivelano l’uso di un compasso, di un righello o di una squadra, mentre altre sono eseguite a mano libera, alla maniera di uno schizzo con tracce di errori.

I contorni delle figure sono tratteggiati con linee nervose e discontinue, mentre i tratti dei volti sembrano essere stati realizzati con un pennello, utilizzando una materia fluida.

Sono visibili diversi pentimenti; le modifiche più significative sono state apportate alla scena sullo sfondo. La composizione era inizialmente chiusa sulla destra da una figura che osservava la scena. La prima posizione del corpo e della testa, nascosta dietro una balaustra e una colonna con capitello, è chiaramente visibile. L’artista ha poi modificato la composizione collocando un’altra figura sullo sfondo, di tre quarti e in una posizione più centrale. Le architetture sono state disposte in modo diverso, poi sostituite nella fase pittorica da una grande tenda verde.

Si nota inoltre che le decorazioni sui cuscini a sinistra del dipinto non erano ancora previste nella fase del disegno preparatorio, mentre altri motivi ornamentali (come il retro della panca) erano stati specificati in dettaglio. Piccole modifiche sono visibili anche nell’orientamento della mano sinistra e dei piedi di Enrico e della mano destra di Rosamund.

Dall’immagine a infrarossi in falso colore (IRFC) dello strato pittorico, possiamo ipotizzare la presenza di alcuni pigmenti: il mantello blu indossato da Rosamund è composto da azzurrite naturale e bianco di piombo, in colore violaceo sull’immagine IRFC. Il mantello di Enrico è fatto di azzurrite, probabilmente con l’aggiunta di nero. Il rosso visibile sui cuscini e sulle scarpe del Re è realizzato con vermiglio, un pigmento che appare arancione in falso colore. Una lacca di garanza più fredda è presente nella sua tunica rossa, che presenta una risposta arancione più profonda. Il blu sullo sfondo è probabilmente uno strato di azzurrite, mentre la grande tenda sullo sfondo sembra essere fatta di verderame. Le gambe e i braccioli delle panche sono realizzati con ocra gialla. Il tappeto in primo piano contiene malachite con aggiunta di giallo. I toni della pelle sono realizzati con uno strato rosa di vermiglio e bianco.

Raymond Quinsac Monvoisin, Rosamund Clifford e il re Enrico II d’Inghilterra, 1827, olio su tela, Musée des Beaux-Arts d’Orléans.

Il ritratto rappresenta il padre dell’artista in posa davanti a un ritratto ufficiale di Zhu De, un rivoluzionario precoce ritenuto il fondatore dell’Armata Rossa cinese.

Prima della conservazione, l’opera è stata esaminata per raccogliere quante più informazioni possibili sulla sua storia fisica. Alcuni elementi tecnici hanno suscitato interesse, poiché non sembravano essere in relazione con la composizione visibile.

Si è quindi deciso di utilizzare la riflettografia a infrarossi per guardare oltre gli strati di pittura visibili. Attraverso l’utilizzo di questo spettro infrarosso, conservatori e scienziati sono in grado di analizzare un’opera attraverso lo studio di caratteristiche come il disegno preparatorio o ancora i pigmenti utilizzati.

Utilizzando la nostra telecamera Osiris, sono state scattate immagini del dipinto, chiamate anche riflettogrammi, che hanno rivelato la presenza di una composizione precedente sotto quella attuale. È infatti chiaramente visibile un ritratto di donna quasi completamente eseguito ma poi ricoperto quando l’artista decise di cambiare il soggetto del suo dipinto.

Il riutilizzo di tele, sia proprie che altrui, è una pratica molto comune tra gli artisti. Essere consapevoli di tali cambiamenti nella composizione permette ai curatori di meglio comprendere la tecnicità di un pittore o di un gruppo di artisti. È inoltre uno strumento fondamentale per la formulazione di trattamenti conservativi. La presenza di diversi strati di pittura, di spessore e natura diversi, come in quest’opera, influenzerà le decisioni prese e i materiali scelti per gli eventuali interventi di restauro.

Liu Wei, Revolutionary family series, 1991, technique mixte sur toile, collection particulière.

Il Trittico della Vergine in Gloria fu commissionato da Pietro II di Borbone e da sua moglie Anna di Beaujeu tra il 1500 e il 1501 per adornare la cappella della Cattedrale di Moulins.

L’attribuzione del trittico è stata a lungo discussa, ma può oggi essere attribuita con quasi totale certezza alla mano di Jean Hey.

Il pannello centrale raffigura la Vergine in trono, circondata da angeli mentre tiene il Bambino sulle ginocchia. Nella parte superiore, due angeli portano una corona di stelle sopra la testa della Vergine mentre altri sei, tre per ogni lato del trono, la guardano. Nella parte inferiore due angeli reggono un’iscrizione latina tratta dall’Apocalisse XII “Hec est illa deqva sacra canvnt evlogia sole amicta lvnam habens svb pedibz stelis mervit coronari dvodenis”, che si può tradurre approssimativamente come “Questa è colei che viene lodata nelle Sacre Scritture: avvolta nel sole, avendo la luna sotto i piedi, meritò di essere coronata con dodici stelle”. La Vergine è vestita con un pesante mantello rosso, tipico delle Vergini fiamminghe, che anticipa la Passione di Cristo.

Il pannello di sinistra rappresenta Pietro II accompagnato da San Pietro. Quest’ultimo indossa un mantello ornato di ricami e un diadema di cabochon arrotondati, gioielli trasparenti e palmette. Pietro II è inginocchiato in primo piano; indossa un mantello rosso e un diadema.

Sul pannello di destra, si vedono Anna di Beaujeu e sua figlia Susanna in preghiera, accompagnate da Sant’Anna. Gli abiti di Anna e Susanna sono molto ricchi, mentre Sant’Anna indossa un vestito molto più sobrio.

Il disegno preparatorio del trittico di Moulins, molto ricco e complesso, è una testimonianza del processo creativo di Jean Hey.

In generale, notiamo che il disegno varia a seconda dell’importanza o della funzione dell’elemento rappresentato. Nel pannello di sinistra, la differenza di trattamento è molto evidente tra San Pietro e Pietro II di Borbone. Quest’ultimo è disegnato con linee abbastanza fini e precise, a carboncino o a secco, animato dalla preoccupazione di una fedele somiglianza con il duca; il tratteggio è sottile e suggerisce la modellazione. I tratti di San Pietro, invece, sono molto più schematici; il disegno è realizzato tramite un pennello/penna con poche indicazioni di volumi, l’artista non essendo qui vincolato dalla preoccupazione di somiglianza.

Questo vale anche per le figure schematiche degli angeli e della Vergine nel pannello centrale. Il loro disegno testimonia del riutilizzo di schemi/modelli di studio, una pratica comune dell’epoca. Sebbene le loro posizioni siano diverse, le somiglianze tra gli angeli dei diversi pannelli sembrano derivare dalla stessa idea. Il confronto con altri dipinti di Hey sembra confermare questa ipotesi.

In entrambi i pannelli, i volti dei donatori sembrano essere stati oggetto di un preciso disegno preparatorio a fini di realismo. Non si osservano pentimenti rispetto all’esecuzione pittorica.

Il volto di Pietro II di Borbone può essere messo a confronto con il dipinto del Louvre, Pietro II di Borbone presentato da San Pietro, un ritratto molto simile sotto molti aspetti: posizionamento, espressione e taglio di capelli.

Nel pannello di destra, pentimenti sono visibili nei busti e nelle braccia di Anna e soprattutto di Susanna, la posizione della quale l’artista a più volte cambiato. Notiamo anche un importante pentimento nel panneggio di Sant’Anna.

La riflettografia infrarossa mostra il posto predominante del disegno sottostante nell’esecuzione finale di questa magnifica composizione. Il disegno traspare volutamente sotto gli strati colorati, soprattutto nel pannello centrale, modellando le ombre nella fase pittorica. Ne sono un esempio lampante le sopracciglia del Bambino nel pannello centrale e il volto dell’angelo a sinistra della Vergine.

Le immagini in falso colore suggeriscono l’uso dei seguenti pigmenti: bianco di piombo, vermiglio, acetato o resinato rameico. L’osservazione al microscopio rivela che il mantello di Sant’Anna e quello della Vergine sono stati dipinti con lapislazzuli, un pigmento molto costoso che sottolinea l’importanza di questa commissione.

Jean Hey, Il Trittico della Vergine in Gloria , 1500-1501, huile sur bois, Cathédrale de Moulins.

Questo dipinto è stato realizzato nel 1834, in seguito a una commissione di Stato su richiesta di Monsignore de Vichy. Di grandi dimensioni (4 m x 3,40 m), Il martirio di San Sinforiano è il risultato di un lungo lavoro preparatorio di cui si sono conservati più di duecento disegni preliminari. L’iconografia fu dettata da Monsignore de Vichy e rappresenta un santo locale: Sinforiano da Autun, condannato a morte per aver deriso una processione pagana, decapitato davanti alla madre fuori dalle mura della città.

La riflettografia infrarossa ci permette di studiare il disegno preparatorio realizzato dall’artista con una tecnica a secco. Nonostante l’assenza di una griglia di riporto, sembra probabile, date le dimensioni dell’opera, la complessità della composizione e il numero di schizzi preparatori, che Ingres abbia utilizzato una tecnica di trasferimento, come la carta da lucido.

Sebbene il contorno generale sia abbastanza preciso, sono visibili molti pentimenti, in particolare cambiamenti nella posizione di mani, piedi, braccia e persino dei volti di alcuni personaggi. È interessante notare che l’artista ha annotato anche indicazioni di colore, come la parola “jaune” (giallo) sul velo della madre.

L’artista ha anche molto probabilmente utilizzato strumenti di tracciamento come il compasso e il righello per l’architettura, le lance dei soldati e l’aureola del Santo.

La riflettografia mette inoltre in evidenza il modus operandi della costruzione di questa composizione. Notiamo che Ingres dipinge l’intero elemento sottostante, in un certo senso la struttura, prima di dipingere l’oggetto sovrastante. Ad esempio, per quanto riguarda gli abiti di Sinforiano, il vestito è dipinto interamente prima di essere coperto dal drappo della tunica. Allo stesso modo, l’architettura dei bastioni è dipinta prima della torre.

L’immagine in falso colore fornisce ulteriori informazioni: ogni pigmento è rappresentato da una particolare colorazione che dipende dall’interazione con la radiazione infrarossa, affinando così la nostra conoscenza della tecnica del pittore. Notiamo che il cielo, così come la tunica del soldato che regge il signum, sono composti da una base di azzurrite con riflessi di lapislazzuli. I rossi (che appaiono gialli nel falso colore) sono realizzati con il vermiglio. Il manto verde del soldato che porta il fascio è un pigmento a base di rame (blu in falsi colori); altri verdi appaiono rosa, cioè una miscela di blu (lapislazzuli?) con un giallo (piombo e peltro?). Per il resto della composizione, la tavolozza si riduce a terre, ocre, bianco di piombo e nerofumo.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Il martirio di San Sinforiano, 1834, huile sur toile, Cathédrale Saint-Lazare d’Autun.

Caravaggio, la cui vita di trasgressioni spesso prevale sull’aspetto artistico della sua esistenza, è considerato da molti l’artista che ha colto nel modo più sottile la modernità del suo tempo. Personaggio misterioso, ancora non del tutto conosciuto a causa della mancanza di riferimenti diretti, senza eredi, tutto ciò che sappiamo sono alcuni scritti dei suoi non sempre benevoli contemporanei. Caravaggio trasmette con forza le contraddizioni di un uomo moderno dalle mille sfaccettature, perennemente interessato a far convivere la sua anima popolare con la sua crescita sociale attraverso la frequentazione di prestigiosi mecenati, come il cardinale Del Monte, il marchese Giustiniani e i principi Colonna.

Questi elementi si scontrano spesso con le cerchie dell’ortodossia clericale, che trova irriverente la sua scelta di connotazioni popolari da rappresentare in ambito religioso.

Cercando di ottenere il perdono per l’omicidio di Tomassoni e quindi la grazia dalla pena capitale e la fine dell’esilio, lascia Napoli per lo Stato Pontificio, convinto dai suoi intercessori di poter ottenere l’indulgenza. Ciò che accade dopo è soggetto di molte e congetture. Muore nel 1610 a Porto Ercole, solo e miserabile, frettolosamente sepolto in una fossa comune. Amato e celebrato in vita, viene rapidamente dimenticato, per poi essere riscoperto nel XX secolo.

Definito da Roberto Longhi “pittore della realtà”, la sua opera è caratterizzata da un’osservazione diretta della natura. Attraverso le molte contraddizioni della sua modernità, è il primo interprete di quella che diventerà la pittura moderna.

Quando Caravaggio muore, il vescovo di Caserta scrive al cardinale Scipione Borghese, collezionista e protettore di Caravaggio, informandolo della scomparsa dell’artista. Cita tre dipinti, trovati all’interno della barca su cui viaggiava: “Doi S. Giovanni e la Maddalena”.

Mentre della Maddalena in Estasi si conoscono molte copie, questa versione, autenticata nel 2014 da Mina Gregori, è considerata il vero originale; il dipinto che aveva con sé nel suo ultimo viaggio a Porto Ercole. Sul retro della tela è stata trovata una nota con grafia seicentesca: “Madalena reversa di Caravaggio a Chiaia ivi da servare pel beneficio del Cardinale Borghese di Roma“.

La Maddalena è una presenza ripetitiva nell’opera di Caravaggio, la cui vita tumultuosa è segnata da disperati tentativi di trovare il perdono per i suoi crimini.

La Maddalena appare su uno sfondo neutro con una tunica bianca e un mantello rosso. Figura del pentimento, Maddalena prega, con gli occhi abbagliati dall’apparizione luminosa di una croce incoronata di spine, colta in un momento di estasi spirituale e sensuale. I suoi capelli dorati, la cui massa pesante appare sulla sommità del capo, si diffondono sulle spalle e sul petto. I toni della pelle, lividi, presentano mirabili variazioni di colore e di luce, mentre le ombre dominano per la loro intensità.

La modellazione dei denti e le lacrime che scorrono sulla guancia della Maddalena sono caratteristiche di Caravaggio, così come l’orecchio, indistintamente delineato sotto una luce attentamente calcolata. Le lunghe pieghe della camicia sono ottenute con un’unica pennellata ampia, vigorosa e libera; sullo sfondo, si intravede nell’oscurità l’ingresso di una grotta. Un teschio sostiene il braccio della Maddalena, significando la sua dipartita da una vita di peccati.

L’unione dei dati raccolti con la riflettografia infrarossa, acquisite con la nostra telecamera Apollo, e dall’ultravioletto, ci fornisce ulteriori informazioni e sembra confermare ulteriormente l’attribuzione: Il corpo semisdraiato della Maddalena non è, come sembra, avvolto in una massa scura, ma poggia su una specie di roccia. È inquadrata all’interno di una grotta, la cui apertura è arricchita da foglie e vegetazione, che si staglia chiaramente nell’angolo in alto a sinistra. Forse non del tutto convinto di quello che stava facendo, l’artista ha usato una pennellata leggera, decidendo poi di nascondere questi elementi sotto uno strato scuro. Maurizio Calvesi ha interpretato il fondo nero come oscurità, “simbolo del male e del peccato”, mentre la luce che inonda la figura femminile simboleggia la redenzione.

Alcune parti, come i capelli, sono lasciate in riserva e quasi non vengono dipinte affatto, caratterizzate solo da riflessi di luce. Si nota una totale assenza di disegno preparatorio, con il colore che viene applicato direttamente sulla tela. Le fonti affermano che Caravaggio non disegnava ma applicava direttamente il colore sulla tela: le frequenti modifiche apportate da Caravaggio ad altre sue opere durante la fase pittorica sono ben documentate dalle analisi ai raggi X e IR e sembrano confermare questo fatto.

La riflettografia IR evidenzia tuttavia la presenza di linee scure, preliminari al dipinto, che definiscono il profilo di alcuni elementi della composizione. Queste linee, piuttosto ampie e compatibili con un pennello imbevuto di un pigmento scuro, delineano le dita della mano destra, la parte inferiore della mano sinistra e il polso, le pieghe principali del mantello rosso, la spalla destra e la camicia bianca sul gomito destro. Le irregolarità della superficie che potrebbero far pensare all’uso di incisioni, evidenti soprattutto sulla camicia bianca, sono in realtà da attribuire alle tracce delle setole del pennello.

La forma della bocca sembra essere cambiata durante la fase pittorica, con una riduzione del labbro inferiore. Cambiamenti interessano anche il manto rosso, intorno alla grande piega vicino al lato destro, dove la radiografia mostra una distribuzione della radiopacità non in linea con l’andamento chiaroscurale attualmente visibile. Più difficile da interpretare è la traccia della stessa radiopacità del manto rosso che si estende dal lato destro, quasi orizzontalmente, verso il bordo sinistro della tela.

In questo quadro, come negli altri di Caravaggio, c’è arte ma c’è anche vita; non c’è solo un realismo formale e figurativo, ma soprattutto un “realismo dei sentimenti”, che è la grande novità di Caravaggio, soprattutto rispetto ai sentimenti manieristici, che erano predefiniti. È un realismo sentimentale ed emotivo profondo perché il pittore si identifica con il sentimento, con la situazione psicologica e c’è questa capacità di rappresentare e trasmettere questi sentimenti in pittura, colpendoci fortemente e permettendoci così di ricevere queste emozioni.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Maria Maddalena in estasi, 1606 circa, olio su tela, collezione privata.