La Pagoda d’Argento è un’imponente struttura ornata situata all’interno del Palazzo Reale di Phnom Penh, nota anche come Wat Preah Keo o “Tempio del Buddha di Smeraldo”. Originariamente edificata in legno nel 1892 sotto re Norodom, fù ricostruita nel suo stato attuale nel 1962. Si trova all’interno di un grande complesso chiuso, circondata da una galleria dipinta su tutti e quattro i lati con un baldacchino dominante in cima e un tetto spiovente, formando un chiostro.
I dipinti murali delle gallerie della Pagoda d’Argento risalgono al 1902-1903. Sono stati eseguiti dal pittore e architetto Oknha Tep Nimit Thak, assistito dal pittore Vichitre Chea e da una quarantina di studenti, rendendo così assai difficile la corretta attribuzione delle diverse parti di quest’opera.
Oknha Tep Nimit Mak era il pittore e capomastro del Palazzo alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX. A questo maestro e alla sua bottega si devono i dipinti dei grandi monasteri di questo periodo: il santuario e il chiostro di Wat Prah Keo Morokot, Wat Phnom Delmayed, Wat Phnom Del nella provincia di Kompong Cham e Vat Sisowath Ratanaram nel sud della provincia di Kandal.
Il cortile interno, circondato da gallerie, ha la forma di un rettangolo di 150 metri per 170 metri. I dipinti murali coprono l’intera superficie dei muri, alti 3,5 metri di altezza e lunghi 604 metri, i più grandi del Sud-Est asiatico. Partendo dal muro orientale, vicino all’ingresso, e procedendo in senso orario (pradaksimâ), 192 scene rappresentano il Reamker, la versione khmer dell’epopea classica indiana Rāmāyaṇa, raccontando della lotta di Preah Ram (Rama) per salvare la moglie Neang Seda, rapita da Krong Rab (Ravana).
In questo recinto di arte tradizionale, assistiamo allo svolgersi dell’intera storia di Rama: dal momento in cui Preah Ram, accompagnato da Preah Laks, si reca a perfezionare la sua conoscenza con l’asceta Visvamitr, fino alla riconciliazione con Neang Seda. Sono rappresentati quasi tutti gli episodi più importanti:
- La prova dell’arco a casa di re Janak
- Preah Ram e Neang Seda ad Ayodhya – Partenza da Ayodhya – Esilio – Incontri con Kukhan e Munis.
- Mutilazione di Neang Surpanakhar, sorella di Rab – Battaglia con Krong Khar – la gazzella d’oro – il rapimento di Seda
- Battaglie con gli alleati di Rab – Battaglia di Kumbhakar – Battaglia di Indrajit – Battaglia di Rab
- Vittoria di Preah Ram – Consacrazione di Bibhek – Rituale del fuoco di Seda
- Ritorno ad Ayodhya – Incoronazione di Preah Ram
- Portamento di Rab – Condanna di Seda – Suo esilio
- Ramlak e Jupalak – Il processo del cavallo
- Preah Ram, Neang Seda e i due bambini – Il loro incontro
- Preah Ram e il calvario con l’urna funeraria – Seta tra i Naga
- Le guerre dei figli e dei nipoti di Rab
- La riconciliazione degli eroi.
Nessuna cornice, nessuna divisione, nemmeno una striscia, separa tra di loro le scene. Le transizioni tra due episodi sono realizzate in modo elegante, più elaborato, segnalato da un boschetto, da un gruppo di rocce o, semplicemente, dall’atteggiamento dei personaggi che dirigono la loro attenzione verso elementi specifici.
Ad eccezione di alcuni flashback, la storia è disposta in ordine cronologico, con succinte iscrizioni in khmer che descrivono l’azione.
Questi dipinti, così preziosi e raffinati, testimoniano il perdurante senso artistico del popolo khmer. Presentano un’iconografia particolarmente ricca, illustrando una vita khmer molto vivace con celebrazioni religiose e reali, nonché scene di vita popolare, in un’atmosfera onirica di poesia.
Per la prima volta nella loro storia, i dipinti murali della Pagoda d’Argento sono stati studiati in modo approfondito attraverso diverse analisi non invasive, tra cui le immagini di riflettografia infrarossa (IR) acquisite tramite la nostra telecamera Osiris, che hanno permesso di studiare la genesi dell’opera così come gli strati sottostanti.
Come regola generale e all’epoca (inizio del XX secolo), gli artisti cambogiani si esprimevano attraverso un disegno essenzialmente lineare, con contorni chiari e definiti, per rappresentare e significare. Sui muri di cinta della Pagoda d’Argento, come accadeva in Cambogia in quel periodo, la tecnica esclude qualsiasi rappresentazione prospettica e qualsiasi uso del trompe-l’oeil.
Come già detto, Oknha Tep Nimit Mak è uno degli artisti che ha lavorato alla Pagoda d’argento. Si sa anche che ha realizzato disegni di statue, motivi decorativi, personaggi mitologici, costumi… . Nel 1923, George Groslier raccolse settantasei disegni di Oknha Tep Nimit Mak; sebbene la posizione delle figure e alcuni dettagli differiscano, le somiglianze tra le due rappresentazioni sono evidenti e sembrano derivare dalla stessa idea.
Si può quindi ipotizzare che gli artisti abbiano utilizzato un modello o un cartone di qualche tipo e abbiano fatto dei disegni preparatori prima dell’esecuzione finale: le linee sono forti e precise e il disegno non è molto esitante. La riflettografia ha rivelato le modifiche apportate dall’artista alla composizione durante il processo pittorico.
La parete orientale è sicuramente la parte più ridipinta, subisce infatti il maggior numero di modifiche e cambiamenti: l’architettura, le decorazioni e i personaggi sono stati semplificati; le linee sono meno delicate, alcuni personaggi sono stati riposizionati o semplicemente creati ex novo. Questo viene a indicare che un nuovo gruppo di artisti ha lavorato su questa parte della parete dopo eventuali danni che quest’ultima potrebbe aver subito o comunque dopo il completamento del progetto.
Nell’insieme della composizione osserviamo:
- Numerosi cambiamenti compositivi nell’architettura;
- Rimozione di alcuni personaggi: alcuni personaggi o gruppi di personaggi scompaiono nella fase pittorica, soprattutto nella parte ridipinta dove le modifiche sono più evidenti;
- Lievi spostamenti, soprattutto di personaggi e animali: aggiustamento delle posizioni delle figure – posizione dei piedi, posizione delle braccia, dettagli architettonici, ecc;
- Squadratura: per posizionare gruppi di personaggi (spesso duo);
- Tracciato di linee per iscrizioni.
La riflettografia ci permette anche di determinare il disegno mancante nelle aree molto danneggiate del murale. Infatti, alcune parti sono severamente alterate dal tempo, dall’ambiente, dai cambiamenti meteorologici o dai danni intenzionali dei visitatori, e non permettono quindi una lettura della composizione. L’infrarosso permette in questo caso di vedere e quindi di comprendere meglio le scene rappresentate.
Il secondo gruppo di artisti, quello che fa seguito al completamento del progetto originale, ha utilizzato una tecnica mista: la maggior parte delle linee sono realizzate con materiale asciutto, sono forti e precise; ma alcuni elementi, come la vegetazione, le pietre o i fiumi/mare sembrano essere stati realizzati con un materiale più fluido.
L’analisi in falso colore, tradizionalmente eseguita tramite pellicole a colori con sensibilità estesa nella zona del vicino infrarosso, è oggi più comodamente eseguibile con tecniche digitali utilizzando una moderna fotocamera. Il vantaggio risiede nella velocità di acquisizione dell’analisi infrarossa in falsi colori e, inoltre, la sensibilità nel vicino infrarosso dei rivelatori di silice si estende a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla pellicola a colori.
Un esempio si trova sulla parete ovest nella scena della battaglia tra Rama e Krong Rab (scena 118) in cui le immagini in falso colore rivelano un’area interessata da precedenti interventi di restauro, in particolare si può identificare la presenza di malachite sovrapposta allo strato originale di ultramarino che rappresentava il cielo.
Quello che nella fotografia a luce diretta ci appare come uno strato compatto di blu brillante, in falso colore si differenzia in due strati sovrapposti che possono essere perfettamente perfettamente distinguibili l’uno dall’altro grazie alle risposte caratteristiche dei due pigmenti diversi.
Altrettanto utile può essere l’identificazione di pigmenti che si sono deteriorati nel tempo. Nella parete nord, nella scena in cui Asakan chiama a raccolta le sue truppe contro Rama (scena 132), il pigmento si è deteriorato: l’area all’interno del tempio è resa in rosso con il falso colore, mentre appare marrone scuro in luce diretta.
È caratteristico dei pigmenti blu avere una risposta rossa in falso colore, e lo smalto è un pigmento incline a tale degradazione. È scientificamente riconosciuta la sua tendenza a degradare scurendosi verso toni grigio-marroni.
I pigmenti ricorrenti in tutte e quattro le pareti, identificati in falso colore e successivamente confermati da campioni sono: oltremare, ocra rossa, orpimento e malachite.